La competizione indetta da Amazon ha come obiettivo di stimolare i ricercatori a trovare soluzioni tecnologiche automatizzate per selezionare e tirare fuori dagli scaffali la merce ordinata online dai clienti
La Amazon Picking Challenge è la prima competizione indetta dal colosso dell’e-commerce per ideare un sistema computerizzato di gestione dei suoi magazzini; 25 diversi team di ingegneri si sfideranno mettendo alla prova i limiti di come una macchina può vedere, prelevare e imballare in una scatola di cartone. Il software prodotto diventerà disponibile per la comunità scientifica.
La finale si terrà a Seattle dal 26 al 30 maggio, in occasione di ICRA 2015. Ci saranno premi in denaro per i primi 3 classificati ed il primo premio ammonta a 20 mila dollari.
La competizione indetta da Amazon ha come obiettivo di stimolare i ricercatori a trovare soluzioni tecnologiche automatizzate per selezionare e tirare fuori dagli scaffali la merce ordinata online dai clienti (libri, scatole di cereali, cellulari) e reinserirli come pacchi pronti per essere spediti.
Un altro obiettivo è di far evolvere la ricerca nell’ambito della robotica; infatti, al termine della gara tutto il software prodotto diventerà open source e disponibile per la comunità scientifica.
Alla Amazon Picking Challenge ci saranno anche due gruppi di ricercatori dell’Università di Pisa e del Politecnico di Torino che competeranno con altri 30 tra le migliori università del mondo, come il Mit di Boston la UC Berkeley; infatti tra i selezionati ci sono anche due progetti italiani, di cui quello del Politecnico di Torino è stato realizzato insieme a Comau (membro del gruppo Fca). Il gruppo di lavoro è composto da Simone Baratta, Giorgio Toscana, Manuel Del Verme (per il Politecnico di Torino) e da Valentina Ferrara, Ivan Lazzero e Andrea Bisson (per Comau).
Uno dei ricercatori del Politecnico, Manuel Del Verme, ha spiegato all’Ansa che “questa soluzione impiega un robot Comau (il Racer 999) per realizzare un «braccio» con sei gradi di libertà, ovvero che si muove in sei dimensioni, con precisione al millimetro ed una grande velocità di movimento. I sistemi di presa sono due, di cui una è del tutto innovativa, non c’è niente di commerciale di questo tipo al momento».
Dal Verme continua la spiegazione dicendo che “il cervello del robot è un software che sfrutta un sistema di visione e di profondità che, unito a una webcam, fa in modo che il braccio sappia esattamente cosa afferrare e dove.”
Il ricercatore aggiunge: “Siamo felici di arrivare a Seattle, la qualifica è stata molto complessa e la finale rappresenta già la prova di aver fatto un ottimo lavoro. In un momento in cui cominciavo a credere che non ci fossero buone possibilità per restare in Italia, i fatti dimostrano che ci sono aziende disposte a investire”.
Il secondo progetto made in Italy è stato ideato dal Centro di Ricerca «E. Piaggio» dell’Università di Pisa e dall’Istituto Italiano di Tecnologia.
Il ricercatore dell’Università di Pisa, Manolo Garabini afferma : “Il nostro punto di forza è la mano usata nel nostro robot: ha tutti i gradi di libertà di una mano umana, cioè circa 20 e un singolo motore che muove tutte le falangi. Questo le permette di adattarsi a oggetti di forma e consistenza molto differenti, grazie anche ad alcuni cuscinetti che funzionano come muscoli e che possono far eseguire movimenti più morbidi”.
Dopo la trasferta a Seattle, o ricercatori di Pisa andranno alla Darpa Robotic Challenge di Los angeles a mostrare dei robot umanoidi che sono in grado di eseguire diversi compiti, tra cui anche la guida di auto, all’interno di situazioni pericolose con lo scopo di poter sostituire gli esseri umani in futuro per operazioni di salvataggio o recupero in cui attualmente molti uomini rischiano la vita.
Manolo Garabini spiega all’Ansa: “Abbiamo la fortuna di trovarci in ambienti dove ci sono le strutture per competere ad altissimo livello in ambito robotico e non siamo gli unici; ci sono diversi laboratori in Italia che seguono progetti di altissimo livello”.