Google rende i nostri dati più sicuri. Testato un metodo per migliorare di molto la privacy: scopriamo come funziona e cosa promette di fare.
Google ha presentato un nuovo sistema per potenziare la privacy dei dispositivi che girano su Android, il sistema operativo open source concepito proprio a Mountain View. Non c’è bisogno di discutere quanto la riservatezza dei dati sia un tema preponderante nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione. Come capita a tutti i colossi del web, anche Google viene continuamente accusato di valicare confini non consentiti quando si parla di privacy. Di qui l’esigenza di invertire la tendenza e dotare il proprio OS di un ambiente “sicuro” dove gestire le informazioni personali degli utenti al riparo dal resto del sistema operativo e del cloud.
Questo ambiente sicuro si chiama Private Compute Core, conserverebbe i nostri dati solo sul nostro smartphone ed è stato introdotto nella versione Beta di Android 12. Si tratterebbe del nuovo Device Personalization Services e comprende funzionalità come Live Caption (aggiunta automatica di sottotitoli a un file video o audio), Now Playing (che propone brani a seconda delle nostre scelte musicali), Smart Reply (suggerimenti rapidi per rispondere ai messaggi). Tutte funzionalità basate sul Machine Learning, che ovviamente monitora costantemente la nostra navigazione e i nostri contenuti per generare suggerimenti il più coerenti possibile con le nostre esigenze.
Private Compute Core, una cassaforte per le nostre informazioni
Private Compute Core si propone dunque come un centro per processare i dati privati, una sorta di punto di raccolta dove le nostri informazioni personali, contenuti e abitudini di navigazione rimarrebbero isolati al resto del sistema e a tutte le terze parti che vi sono collegate. In altre parole, nessuna app saprà quali sono i nostri video musicali preferiti o i messaggi che digitiamo sulla tastiera. Questo tipo di informazioni sarà sfruttato unicamente da Android per fornire un’esperienza utente più agile e su misura, ma nessun altro soggetto potrà avvalersene a fini di marketing.
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A presentare la novità è stata Suzanne Frey, numero due del dipartimento Prodotto di Google, nonché steward di privacy e sicurezza su Android e Google Play, tramite un post sul blog ufficiale. “Il Machine Learning passa necessariamente attraverso la raccolta dei contenuti personali. Tuttavia le funzioni incluse in Private Compute Core (Live Caption, Now Playing, Smart Reply, ndr) non sono direttamente disponibili al resto del network e condividono le informazioni solo con il dispositivo attraverso API open source studiate appositamente. Queste informazioni vengono private di tutti i riferimenti all’identità dell’utente da tecnologie di protezione come Federated Learning, Federated Analytics, and Private information retrieval”.
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Il codice sorgente delle API open source, si legge ancora nel pezzo, sarà pubblico. Questo significa che qualsiasi esperto di sicurezza esterno a Google sarà in grado di vagliare la privacy del sistema, valutando quanto Private Computer Core riesca effettivamente a isolare i nostri dati dagli sguardi indiscreti delle organizzazioni commerciali. In altre parole, ogni volta che guarderemo uno show su Netflix o compreremo una canzone da iTunes, non ci sarà nessuna azienda alla finestra a spiare interessata i nostri movimenti.