Un recente studio di pCloud mostra quali app condividono maggiormente i dati utente con aziende di terze parti, con consequenziale riduzione della privacy. Il primato va ad una società che gravita nel gruppo Facebook.
Le recenti modifiche disposte da Apple in materia di privacy rappresentano una occasione ghiottissima per abbozzare un primo quadro sul quantitativo – ma anche sulla tipologia – di applicazioni che raccolgono e condividono i dati degli utenti. Riannodando le fila del discorso, vale la pena richiamare brevemente quanto orchestrato dal gigante di Cupertino in queste ultime settimane, che animato da un forte spirito di trasparenza a beneficio dei consumatori, ha di fatto inserito sul proprio Apple Store (il negozio ufficiale per scaricare le app su smartphone e tablet iOS) un cospicuo numero di informazioni relative all’utilizzo dei dati personali da parte di ciascuna app. Tale mossa, come abbiamo avuto modo di raccontare, non ha trovato i favori né di WhatsApp – quantomeno a detta del CEO dell’azienda – né dei programmi di aziende cinesi.
Su questa base trova esplicazione un’analisi abbozzata da pCloud, che sfruttando le informazioni sulla privacy delle app disponibili sull’Apple Store, ha tracciato una speciale graduatoria sui software mobile che condividono più di tutti i dati personali degli utenti con aziende di terze parti. Ma per quale motivo? La risposta è improntata sull’opportunità di migliorare l’esperienza d’uso, con particolare riguardo al meccanismo delle pubblicità: sarà sufficiente, a tale stregua, cercare qualcosa su una determinata applicazione per veder spuntare contenuti pubblicitari sostanzialmente affini al prodotto od al servizio in un’altra app. E proprio in quest’ottica che nasce la diatriba tra Apple e le app cinesi di cui abbiamo parlato in un precedente articolo.
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Il primato di Instagram e i valore delle app dedicate al food
Entrando nel merito dell’analisi, pCloud ha riscontrato che l’applicazione che fa maggiore incetta di informazioni personali degli utenti è legata ad una delle società che gravitano attorno a Facebook: non si tratta – contrariamente a quanto si possa pensare – della stessa casa madre, bensì di Instagram, forte del suo mastodontico 79% di dati raccolti. Segue a ruota Facebook con il 57% e LinkedIn e Uber Eats con il 50%. Quali sono i dati condivisi? In base al report, le informazioni appaiono pressoché eterogenee, spaziando dalla cronologia alla posizione, fattori per l’appunto decisivi per confezionare la meglio gli annunci pubblicitari.
In modo non troppo dissimile, anche guardare un video su YouTube può di fatto rappresentare una operazione tutt’altro che immune da garanzie sottese alla privacy. Stando alle rilevazioni di pCloud, il 42% dei dati relativi alle ricerche dei contenuti viene infatti inviato alle aziende di terze parti, così da influire sugli annunci pubblicitari che saranno poi mostrati durante il corso dei filmati.
Ragguardevole è invece il primato di alcune app dedicate al food, il cui pregio è per l’appunto quello di non condividere dati degli utenti: si tratta, nello specifico, di Just Eat, Grubhub e My McDonald’s. Su tale adagio, si può anche citare le app migliori sotto il fronte della privacy, i cui nomi illustri sono condensati in Signal (peraltro alle luci della ribalta complice i cospicui accorgimenti in materia di sicurezza), Netflix, Skype, Microsoft Teams, Zoom, Shazam, Etsy e Telegram.
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Sebbene i dati soprariportati facciano riferimento alle app iOS, appare quantomeno lecito immaginare l’assenza di qualsivoglia scostamento anche con riguardo al settore degli smartphone Android.