Una batteria per smartphone con il 95% di capacità originale di ricarica dopo più di 1700 cicli, più o meno un lustro di utilizzo dello smartphone. E’ quanto hanno intenzione di sviluppare un team di scienziati del Japan Advanced Institute of Science and Technology, grazie alla scoperta di un nuovo materiale.
Si chiama Bis-immino-acenaftenechinone-parafenilene (acronimo BV) ed è in grado di garantire prestazioni di gran lunga superiori a quelle del PVDF.
Chiunque possieda uno smartphone da oltre un anno è consapevole del fatto che la sua batteria agli ioni di litio (Li) non mantiene la stessa carica di quando il dispositivo è stato acquistato.
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Il degrado delle batterie agli ioni di litio è un problema serio che limita notevolmente la vita di tutti i device, causando in primis notevoli perdite economiche, senza dimenticare le enormi quantità di inquinamento. Inoltre, il fatto che le batterie agli ioni di litio non siano molto resistenti è un enorme ostacolo per il mercato dei veicoli elettrici e la raccolta di energia rinnovabile.
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Non sorprende, dunque, che il JAIST si sia attivato cercando soluzioni al problema delle batterie agli ioni di litio. Una delle cause principali del calo di capacità nel tempo, è il degrado degli anodi di grafite ampiamente utilizzati, i terminali negativi delle batterie.
L’anodo, insieme al catodo (o terminale positivo) e all’elettrolita (o il mezzo che trasporta la carica tra due terminali) forniscono un ambiente in cui possono avvenire le reazioni elettrochimiche per la carica e scarica della batteria.
Tuttavia, la grafite richiede un legante per evitare che si sfaldi con l’uso. Il legante più diffuso oggi, il poli (vinilidene fluoruro) (PVDF), presenta una serie di inconvenienti che lo rendono lontano dall’essere un materiale ideale.
Da qui nasce lo studio del BV, un nuovo legante costituito da un copolimero bis-immino-acenaftenechinone-parafenilene (BP), condotto dal professor Noriyoshi Matsumi, che ha coinvolto anche il professor Tatsuo Kaneko, il docente senior Rajashekar Badam, lo studente di dottorato Agman Gupta e l’ex collega post-dottorato Aniruddha Nag.
Il legante BP offre stabilità meccanica e aderenza all’anodo significativamente migliori, è molto più conduttivo del PVDF, forma anche un’interfaccia elettrolitica solida conduttiva più sottile con meno resistenza, ma soprattutto non reagisce facilmente con l’elettrolita, il che ne impedisce notevolmente la degradazione.
Tutti questi vantaggi, combinati, hanno portato ad alcuni seri miglioramenti delle prestazioni, come i ricercatori hanno dimostrato attraverso misurazioni sperimentali. “Mentre una mezza cella che utilizzava PVDF come legante mostrava solo il 65% della sua capacità originale dopo circa 500 cicli di carica-scarica, la mezza cella che utilizzava il copolimero BP come legante mostrava una ritenzione di capacità del 95% dopo oltre 1700 cicli di questo tipo”. Parole del Prof. Matsumi, musica per le orecchie di tutti i possessori di device.
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