La creazione di Bitcoin consuma il doppio della Grecia in termini di elettricità: il mining richiede una potenza di calcolo enorme e l’impatto ambientale si fa sentire.
Si torna a parlare dell’impatto ambientale del mining di Bitcoin. L’insieme della macchine che ratifica le transazioni effettuate con la moneta virtuale più famosa al mondo, rappresenta anche la struttura di “conio” della stessa valuta. Ebbene, secondo le stime dell’Università di Cambridge l’estrazione di bitcoin consumerà nel 2021 oltre 110 twh.
Si tratta di un dato macroscopico, causato dall’enorme potenza di calcolo necessaria per risolvere la proof-of-work, di fatto il sistema di validazione della blockchain e conseguentemente delle transazioni in bitcoin. Dday fa giustamente notare che il consumo di elettricità in Italia nel 2019 è stato di 312 twh. Quello della Grecia è di 54 twh, praticamente la metà rispetto al mining.
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Alla base di un consumo così alto c’è sia la crescita esponenziale del valore della criptovaluta (attualmente siamo oltre i 26.500 euro per un bitcoin), che le rende più attraenti agli occhi dei miners. Sia il meccanismo del dimezzamento, “halving”, che si verifica ogni 210 mila blocchi aggiunti alla blockchain e a ogni intervallo dimezza la ricompensa in bitcoin per i minatori che riescono a calcolare con successo la proof-of-work. In altre parole, non solo i bitcoin hanno un enorme valore nominale, ma stanno diventando sempre più rari e pertanto ancora più preziosi.
Più una risorsa è scarsa, più si alza il suo prezzo. È una legge economica. E sin dall’inizio il bitcoin era concepito “a esaurimento”, diciamo: il loro fantomatico creatore Satoshi Nakamoto, ha stabilito da subito che il numero totale non sarebbe andato oltre i 21 milioni. Ne abbiamo coniati oltre 18 milioni, ma a causa dell’halving dovremo attendere oltre un secolo per l’ultimo 14% circa che ancora possono essere creati: si calcola che l’ultimo bitcoin vedrà la luce nel 2140!
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Il problema è che i miners, ormai raggruppati in vere e proprie società di una certa dimensione, avendo bisogno di così tanta energia, impiantano le loro macchine nei paesi dove questa costa di meno, incidendo anche di più in paesi sottosviluppati (o in Cina, che pur avendo superato la fase di economia in via di sviluppo, è il maggiore estrattore al mondo). Ultimamente siamo andati a piazzare una base di mining oltre il Circolo Polare Artico, per ottenere un raffreddamento naturale delle macchine. Questa inefficienza energetica della blockchain è alla base di gran parte delle critiche subite dalla cripto valuta. Ma attenzione, i fan del bitcoin obiettano che il sistema bancario tradizionale è ben più “tossico” a livello ambientale, e difficilmente gli si può dare torto.
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