Si è chiuso più tardi del previsto il buco nell’ozono sovrastante l’Antartide. Aveva raggiunto dimensioni record sia per ampiezza che per profondità. Ecco perché ci ha messo così tanto ad esaurirsi.
Dopo aver raggiunto dimensioni da record, si è finalmente chiuso il buco nell’ozono che ogni anno si forma sull’Antartide. Ne ha dato notizia l’Organizzazione Mondiale della Meteorologia (WMO), che ne ha commentato le dimensioni. Infatti, il fenomeno viene registrato ogni anno, ma quello verificatosi nel 2020 è risultato il buco nell’ozono più duraturo degli ultimi 40 anni, nonché uno dei più ampi e profondi.
Con l’espressione “buco nell’ozono” identifichiamo un assottigliamento dell’ozonosfera determinato da basse temperature e dalla diffusione di sostanze chimiche dannose ai nostri cieli. Il fenomeno si verifica ogni anno ai poli e viene osservato e monitorato ormai da 40 anni. La sua origine meteorologica è dovuta a un persistente vortice polare freddo e a temperature molto basse nella stratosfera, di cui l’ozonosfera costituisce appunto una fascia.
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Durante l’inverno, un vortice di aria fredda e un’area di bassa pressione si allargano al Polo Nord, determinando un buco nell’ozonosfera artica e l’emissione di aria fredda verso il Polo Sud, con il conseguente deterioramento anche dell’ozonosfera che sovrasta l’Antartide. Il fenomeno del 2020 ha avuto inizio a metà agosto e lo scorso ottobre ha raggiunto il vertiginoso picco di circa 24,8 milioni di chilometri quadrati (nel 2006 raggiunse addirittura i 30).
Affinché i livelli di ozono tornino alla normalità e il buco si richiuda è necessario che temperature più basse consentano l’afflusso verso il Polo Sud di aria ricca di ozono proveniente da latitudini più elevate. Solitamente, questo fenomeno atmosferico rientra già entro dicembre. Quest’anno tutta via abbiamo dovuto attendere di più, perché la bassa temperatura ha impedito il passaggio del gas nei cieli dell’Antartide. È chiaro che l’impoverimento di ozono è influenzato anche dalle sostanze dannose che diffondiamo nell’atmosfera.
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I livelli raggiunti quest’anno hanno spinto il direttore del Servizio di Monitoraggio Atmosferico Copernicus, Vincent-Henri Peuch, a ricordare l’importanza del Protocollo di Montreal. La convenzione firmata in Canada nel 1987 regolamenta la produzione di circa 100 sostanze chimiche dannose per l’ozono. Guardacaso, sottolinea la WMO, lo stato di salute dell’Ozonosfera sta migliorando dal 2015, anno della messa al bando dei clorofluorocarburi completamente o parzialmente alogenati. La carta sottoscritta da 46 nazioni punta alla totale messa al bando di tutta la categoria entro il 2030.
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