Ora c’è Xiaomi, ma la prima azienda cinese a costruire una validissima alternativa al duopolio Apple-Samsung, è stata Huawei. Un’ascesa talmente repentina che gli Stati Uniti ci hanno visto dietro lo spionaggio de governo di Pechino, a cui Huawei è stata sempre legatissima. Altri, un cliente troppo scomodo. Tant’è.
La crisi di Huawei era nell’aria, ma ora ci sono dei numeri importanti a evidenziare un crollo di 850 milioni in tre anni, guarda caso da quando sono iniziate le restrizioni statunitensi, che si sono espanse fino in Canada. Trecento milioni volatilizzata soltanto nell’ultimo anno, in Italia.
Nel bilancio di Huawei compaiono i numeri che il colosso cinese delle telecomunicazioni non sta promuovendo. Il gruppo cinese, infatti, non è quotato in borsa ed è quindi esente dalle rigide regole di comunicazione, che sono obbligatorie anche in Cina delle società quotate. Il mercato italiano è presieduto da Huawei Technologies, che è controllata da una holding olandese del gruppo all’interno della classica piazza fiscale.
Galeotte quelle restrizioni: neanche il piano B in Italia sta funzionando
La più grande azienda tecnologica cinese, diventata famosa a livello mondiale come leader nel 5G, è stata messa in ginocchio dagli Stati Uniti, abili a convincere i loro alleati, come ha rimarcato di recente il Washington Post, a bandire le apparecchiature Huawei dalle loro reti nazionali, soprattutto smartphone, per motivi di spionaggio.
Nel maggio 2022, il Canada è diventato l’ultimo paese ad aderire allo sforzo americano. Alla base della disputa c’è la questione di quale paese prenderà il comando nella nascente era “tutto connesso” e chi verrà lasciato indietro. Funzionari del governo degli Stati Uniti affermano che Huawei è pericolosa in parte perché potrebbe utilizzare la sua quota crescente del mercato delle apparecchiature di telecomunicazione per spiare per conto del governo cinese. Un’accusa a cui non tutti hanno creduto.
Già nel 2012, un rapporto del Comitato di intelligence della Camera degli Stati Uniti etichettava Huawei e ZTE Corp. come potenziali minacce alla sicurezza; la Federal Communications Commission nel 2020 ha designato le società come tali e ha ordinato ai vettori statunitensi di rimuovere le apparecchiature da loro prodotte dalle loro reti.
Le preoccupazioni per Huawei guidarono la decisione del 2018 dell’allora presidente Donald Trump di bloccare un’offerta pubblica di acquisto ostile da Broadcom Ltd., con sede all’epoca a Singapore, per il produttore di chip statunitense Communal Inc. L’accordo avrebbe potuto ridurre gli investimenti americani in chip e tecnologie wireless e ha consegnato la leadership globale a Huawei. Tali preoccupazioni sono cresciute poiché i vettori spendono miliardi di dollari per nuove reti 5G. L’inizio della fine.
Il presidente Wang Qing ha spiegato che la carenza globale di chip ha spinto Huawei a cambiare la propria strategia di business per concentrarsi sui prodotti di maggior successo nel mercato italiano. Ma il calo delle vendite di oltre 280 milioni nel 2020 è la conferma che neanche il piano B sta funzionando. Galeotta quelle restrizioni.