La Cassazione stabilisce una linea dura nei casi di offesa sui social network; infatti ha stabilito che, per quel che riguarda la diffusione di messaggi offensivi, la bacheca di Facebook è da reputarsi alla stessa stregua di una prima pagina d
La Cassazione stabilisce una linea dura nei casi di offesa sui social network; infatti ha stabilito che, per quel che riguarda la diffusione di messaggi offensivi, la bacheca di Facebook è da reputarsi alla stessa stregua di una prima pagina di giornale.
La decisione della corte è stata presa in seguito alla vicenda di diffamazione aggravata ai danni di Francesco Rocca, attuale presidente della Croce Rossa Italiana , che nel 2010, periodo in cui ricopriva il ruolo di commissario straordinario della Croce Rosa Italiana, era stato attaccato attraverso il Social Blu da un componente della Croce Rossa in congedo.
La sentenza di piazza Cavour, che convalida il giudizio del gip del Tribunale di Palermo del luglio 2015, riporta che nel 2010 il Presidente della CRI Rocca denunciò di essere stato il bersaglio da parte di alcuni soggetti nell’ambito di un dibattito fra utenti nel web che si era acceso sul social Facebook.
Rocca denunciò che in molti casi “i dati immessi in rete risultavano provenire dai profili Facebook di soggetti conosciuti come componenti in congedo del corpo militare della Cri e fra questi da quello dell’imputato”. Questo caso è stato paragonato oggi dalla Cassazione alla diffamazione aggravata dall’uso del mezzo stampa.
La Quinta sezione penale ha infatti dichiarato che “la diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l’uso della bacheca Facebook integra un’ipotesi di diffamazione aggravata poiché ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone”.
La Corte di Cassazione, quindi, ha confermato la condanna nei confronti del militare in congedo che su Facebook ha definito l’attuale Presidente Rocca “verme” e “parassita”, al pagamento di una multa da 1.500 euro; condanna emessa con rito abbreviato.
Il Presedente Rocca aveva allegato alla querela la stampa delle pagine del social network in cui erano state pubblicate le offese a causa di determinate scelte e iniziative che il Presidente della croce Rossa aveva preso mentre era alla guida dell’ente.
Il giudice della Corte di Cassazione ha riconosciuto che alcuni passaggi, correlati da foto che ritraevano Rocca, avevano superato il limite dell’ordinario diritto di critica, sfociando in chiare offese ai danni del suo decoro personale.
Le frasi che sono state attribuite dall’istruttoria all’imputato come “oggettivamente lesive della reputazione” sono: “parassita del sistema clientelare” e “quando i cialtroni diventano parassiti”; secondo i giudici della Corte la reazione dell’accusato è trasmodata “in una gratuita e immotivata aggressione delle qualità personali di Rocca“.
Secondo la Cassazione, il carattere proprio di un messaggio su una pagina di Facebook, tramite il quale “gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita“, è potenzialmente quello di “raggiungere un numero indeterminato di persone” e questo giustifica la condanna per diffamazione aggravata. La carica diffamatoria aggravata è dovuta anche al fatto che ” bacheche di tale natura racchiudono un numero apprezzabile di persone” e perché “l’utilizzo di Facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita ed assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione”.