A nervi scoperti. Chissà quanto c’entri la prima volta in “rosso” in un trimestre nero dove Facebook non solo non ha guadagnato utenti, ma li ha persi, oltre un milione, compresi quei 215 miliardi volatilizzati in borsa, dopo un crollo del 24%. Tant’è.
“Facebook sta minacciando che si ritirerà semplicemente dall’Europa se non sarà più in grado di condividere i dati sugli utenti europei con le sue operazioni, applicazioni e data center statunitensi“, riferisce ITWire.
Una bomba a orologeria pronta a esplodere, dunque, figlia anche di una sentenza da tribunale. È consuetudine che i documenti normativi dichiarino preventivamente un’ampia varietà di possibili rischi futuri, e su questa base un rendiconto finanziario Meta, recentemente depositato, cita una sentenza della Corte di giustizia dell’UE (nel luglio del 2020) che annulla una legge statunitense chiamata Privacy Shield. Da qui la furia di Mark Zuckerberg.
J’accuse Meta. L’obiettivo è evidente: si cercano scorciatoie
Sebbene i tribunali stiano ora determinando le ramificazioni della sentenza, ITWire osserva che “con il regolamento generale europeo sulla protezione dei dati (GDPR) in vigore, i principi dello scudo per la privacy degli Stati Uniti sono stati ritenuti non conformi e di conseguenza non validi“.
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Quindi, mentre quella sentenza colpisce tutte le società americane, comprese le società cloud come Google, Microsoft e Amazon, è Meta che “afferma che l’interruzione dei trasferimenti di dati transatlantici avrà un impatto devastante sulle sue capacità di pubblicità online mirate“.
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Le dichiarazioni ufficiali del colosso statunitense che controlla i servizi di rete sociale Facebook e Instagram, i servizi di messaggistica istantanea WhatsApp e Messenger, profumano di minaccia. “Se non viene adottato un nuovo quadro per il trasferimento di dati transatlantico, non saremo in grado di continuare a fare affidamento su clausole contrattuali standard o su altri mezzi alternativi di trasferimento di dati dall’Europa agli Stati Uniti. Non saremo in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più significativi, inclusi Facebook e Instagram, in Europa, il che influenzerebbe materialmente e negativamente la nostra attività, la nostra condizione finanziaria e i risultati delle nostre operazioni“.
La nota ufficiale continua, i toni restano tutt’altro che bassi. E fanno rumore: “Siamo, e prevediamo di continuare a essere, oggetto di indagini, richieste di dati, di informazioni, azioni e audit da parte di autorità governative e autorità di regolamentazione negli Stati Uniti, in Europa e in tutto il mondo, in particolare nei settori della privacy, della protezione dei dati, dell’applicazione della legge, della protezione dei consumatori, dei diritti civili, della moderazione dei contenuti e della concorrenza“.
Così si arriva al punto nevralgico: Meta cerca scorciatoie per un sistema che gli permetta di ottenere quella libertà d’azione che le leggi statunitensi le stanno vietando. “Gli ordini emessi potrebbero farci sostenere costi sostanziali, esporci a responsabilità o sanzioni civili e penali, per cambiare la nostra attività o sottoporci ad altri rimedi strutturali o comportamentali che influiscono negativamente sulla nostra attività”.