La causa contro Google iniziata nel giugno del 2020 si aggiunge di un nuovo, importante, tassello. A metterlo è direttamente un giudice federale della California: guai in vista dunque per il CEO di uno dei colossi mondiali dell’High Tech.
Sundar Pichai non poteva non sapere sul funzionamento della modalità Incognito di Chrome. E’ questo il succo della questione che ha portato il giudice Susan van Keulen a stabilire che il CEO di Google può essere interrogato per un massimo di due ore dalle autorità, in merito alla class action (da 5 miliardi di dollari) intentata contro Google e la parent company Alphabet e presentata alla corte federale di San Jose, in California.
L’ipotesi sostenuta dai querelanti è che Chrome non garantisca la completa tutela della privacy una volta che l’utente ha attivato la modalità Incognito. A quanto pare ci sarebbe del vero, visto che il giudice californiano ha riscontrato che “alcuni documenti stabiliscono che informazioni pertinenti specifiche sono state comunicate, forse, a Pichai, o che lui stesso le abbia date”.
La questione va avanti da due anni, ormai. Pichai nel 2019 è stato avvertito che la descrizione della modalità di navigazione in incognito dell’azienda come “privata” era problematica, ma avrebbe mantenuto la stessa condotta, in quanto non voleva che la funzione finisse “sotto i riflettori”, secondo una dichiarazione del tribunale dello scorso settembre.
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I querelanti che hanno accusato Google di Alphabet di tracciare illegalmente il loro utilizzo di Internet durante la modalità di navigazione in incognito, grazie a questa ordinanza, potranno interrogare l’amministratore delegato di Google e della parent company Alphabet.
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Google, naturalmente, continua a difendersi: “Contestiamo fermamente le rivendicazioni di questo caso” tuona José Castañeda, portavoce del colosso di Mountain View, in una dichiarazione alla Reuters: “Abbiamo sempre collaborato con le innumerevoli richieste dei querelanti e continueremo a difenderci con vigore“.
Google, dunque, continua, nella sua linea di condotta, convinto che la navigazione in incognito di Chrome impedisce solo il salvataggio dei dati sul dispositivo di un utente, senza invadere la privacy di nessuno. Ma le divulgazioni sulla privacy dell’unità Alphabet hanno generato un controllo normativo e legale negli ultimi anni, viste le crescenti preoccupazioni sulla sorveglianza online. Secondo gli utenti, insomma, Google continua a raccogliere informazioni che possono essere utilizzate a scopo pubblicitario.
Qui il nocciolo della questione, perché da Mountain View ribadiscono che le attività online possono essere visibili ai portali web. Il prossimo tassello lo metterà Pichai stesso, che potrà essere interrogato (per un massimo di due ore). Così è deciso.
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