Il governo italiano esercita il cosiddetto “Golden Power”, ponendo rigide condizioni all’accordo tra Huawei e Vodafone Italia sullo sviluppo del 5G nel nostro territorio.
Uno spiraglio di luce dopo una fitta tempesta durata incessantemente per due anni. Huawei è pronta a ripartire di slancio e a mettersi alle spalle il complicato periodo dominato dalle rigide restrizioni imposte dall’amministrazione Trump. In attesa di toccare con mano il nuovo corso mobile – quest’oggi è infatti attesa la presentazione di HarmonyOS, piattaforma software che ambisce a stagliarsi come alternativa ai gettonati Android e iOS – il gigante di Shenzhen guarda con interesse a nuove aree di crescita, nel tentativo di far tornare lievitare il proprio giro d’affari, appesantito dalla zavorra del ban e dalla congiuntura economica provocata dalla pandemia.
In quest’ottica, assume certamente un ruolo centrale la connettività 5G, settore in cui per inciso Huawei può fregiarsi di un ragguardevole numero di brevetti. E le novità emerse nelle ultime ore si legano a doppio filo con il mercato italiano. Il governo presieduto dal premier Mario Draghi ha infatti esercitato il cosiddetto “Golden Power” (l’istituto giuridico che permette all’esecutivo di impedire l’accesso di aziende straniere in settori ritenuti di importanza strategica), dettando rigide condizioni rispetto all’efficacia dell’accordo tra Huawei e Vodafone Italia.
La notizia, riportata dall’agenzia Reuters, cristallizza l’intesa tra i due brand sullo sviluppo della tecnologia 5G nel nostro territorio. In particolare, Vodafone potrà utilizzare le apparecchiature Huawei per la costruzione della propria infrastruttura, dovendo tuttavia assicurare una soglia di sicurezza particolarmente elevata. A titolo esemplificativo, il sodalizio cinese non potrà intervenire da remoto nell’eventualità di problemi tecnici.
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L’esercizio del Golden Power – introdotto nel 2012 e finora utilizzato soltanto tre volte – non sembra sorprendere se consideriamo le pressioni esercitate dagli Stati Uniti sugli alleati strategici in Europa, tra cui per l’appunto l’Italia. Il governo americano ha da tempo messo nel mirino Huawei per presunte ripercussioni legate alla sicurezza, rimuovendo il gigante di Shenzhen dapprima dalla partita dei servizi Google – da qui la necessità di mettersi in proprio, costruendo l’ecosistema strutturato secondo il duopolio AppGallery e HarmonyOS – e successivamente dalla fornitura di apparecchiature utili per la costruzione dell’infrastruttura 5G. Huawei, dal suo canto, ha da sempre respinto ogni accusa al mittente.
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Ha fatto scalpore, in quest’ottica, la decisione del Regno Unito di limitare la società presieduta da Ren Zhengfei da qualsivoglia partecipazione alla costruzione delle reti 5G inglesi, arrivando addirittura a rimuovere tutte le apparecchiature Huawei dislocate nel paese. L’Italia, che non ha bandito invece completamente il sodalizio cinese, ha scelto una via per così dire mediana, ratificando l’operatività di un accordo con Vodafone destinato comunque a trovare applicazione con molteplici limiti. Qualche mese addietro, invece, il governo Conte aveva fatto uso del Golden Power per bloccare l’efficacia dell’intesa tra Huawei e Fastweb per la realizzazione della rete 5G della divisione italiana del gruppo Swisscom.
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