Il risultato dell’attività di ricerca condotta dalla veronese Sababa Security in collaborazione con l’Università di Twente e lo studio legale LP Avvocati mette in evidenza la violazione del Regolamento Generale europeo per la Protezione dei Dati Personali (GDPR) da parte delle principali emittenti televisive.
Non soltanto malware od altre ingegnose opere software degli hacker, sempre più a caccia di informazioni personali sull’utente prelevate dai più comuni dispositivi mobili in uso. A minacciare la privacy dei consumatori sarebbero stavolta i televisori, come si evince da una ricerca svolta tra lo scorso febbraio e maggio e destinata inevitabilmente a lasciare strascichi importanti.
Stando a quanto raccolto in esclusiva da DDay, che riporta il certosino lavoro condotto dall’azienda veronese di sicurezza informativa Sababa Security in una proficua collaborazione sinergica con l’Università di Twente e con lo studio legale LP Avvocati, la maggior parte dei principali canali televisivi non rispetterebbe le basilari disposizioni sulla privacy espresse dal Regolamento Generale europeo per la Protezione dei Dati Personali (GDPR). Il motivo sarebbe addebitabile alla tecnologia Hybrid broadcast TV, che permette ai dispositivi che la supportano di offrire all’utente alcuni servizi interattivi volti ad accrescere l’esperienza d’uso, come il cosiddetto “restart” (ossia l’avvio dall’inizio di un programma già incominciato) o l’accesso a ulteriori contenuti forniti dalla stessa emittente.
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Il risultato della ricerca e le violazioni del GDPR
Come spiegato dalla fonte, alla base della ricerca sono emerse soprattutto problematiche tali da offuscare la necessaria trasparenza verso i consumatori: in particolare, la questione ruoterebbe attorno alla personalizzazione degli annunci pubblicitari diffusi dall’emittente a seconda dell’attività dell’utente – che bypasserebbero anche il previo consenso esplicito della persona medesima – e la difficoltà a revocare il consenso. Peraltro, è stato scoperto che oltre la metà dei canali incriminati includerebbero dei pixel strategicamente posizionati (ma soprattutto impercettibili all’occhio nudo) per controllare se l’utente sta guardando il canale oppure no. E si ritorna così alla problematica di prima, ossia la difficoltà (o forse sarebbe meglio dire l’impossibilità) a revocare il consenso al tracciamento.
In buona sostanza, le emittenti televisive profilerebbero i dati dell’utente (come la tipologia di canale maggiormente visualizzata, il tipo di contenuto o per quanto tempo viene guardata la TV) per fornire un’esperienza degli annunci pubblicitari quanto più personalizzata e vicina all’utente, violando tuttavia le norme del GDPR che invece mettono al centro il necessario e preventivo rispetto del consenso eventualmente prestato dal consumatore.
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Allo stato attuale, l’unica soluzione è «non guardare la TV», come ammesso laconicamente dall’addì di Sababa Security, Alessio Aceti. La ricerca muove da un obiettivo di fondo, che poi è quello implicitamente richiamato ad inizio articolo: non sono solo gli smartphone e i PC a porre problematiche sulla privacy dettate dal tracciamento dei comportamenti dell’utente, ma anche dispositivi apparentemente insospettabili, come i televisori e, volendo generalizzare, quei prodotti inglobati dentro al settore della smart home.