Ha fatto discutere in questi giorni la questione delle possibili conseguenze derivanti dal cambio di denominazione di Facebook in “Meta”, in quanto marchio già registrato da una società dell’Arizona. I legali della compagine di Mark Zuckerberg potrebbero tuttavia sfruttare un cavillo per non scucire i venti e più milioni di dollari avanzati dall’azienda attiva nel settore informatico
Il nuovo corso di Facebook potrebbe non essere partito sotto i migliori auspici, quantomeno in punto di diritto. E non c’entra l’ambizioso progetto del cosiddetto “Metaverso“, sui cui peraltro molteplici aziende (non ultima Microsoft) sembrano volere puntare, ma il puro e semplice utilizzo di una denominazione già impiegata per ragioni completamente diverse.
Come abbiamo infatti avuto modo di raccontare in un precedente articolo, il nome “Meta” risulta esser stato già registrato lo scorso agosto da una società dell’Arizona attiva nel settore informatico, denominata appunto Meta PC. Ma non solo, perché lo stesso nuovo logo che Mark Zuckerberg ha mostrato al mondo intero contestualmente all’ufficializzazione del nuovo progetto, risulta pressoché identico a quello già utilizzato (e registrato) da diverse società ancora esistenti, tra cui un’app tedesca M-sense che aiuta a combattere l’emicrania.
We are very honoured that @facebook felt inspired by the logo of our migraine app – maybe they’ll get inspired by our data privacy procedures as well 👀 🤓
#dataprivacy #meta #facebook pic.twitter.com/QY7cota36r— M-sense Migräne (@msense_app) October 29, 2021
Alla luce di tali rilevazioni (sulle quali non sono mancati commenti goliardici da parte degli utenti sui social), appare evidente che la scelta di cambiare denominazione alla società del social network più famoso al mondo potrebbe inciampare in alcuni ostacoli prettamente giuridici. Se avete letto il nostro precedente articolo sul tema, la società Meta PC avrebbe chiesto a Mark Zuckerberg di scucire non meno di 20 milioni di dollari per vendere il proprio marchio registrato a Facebook.
Insomma, una bella gatta da pelare per Mark Zuckerberg e l’equipe di legali, considerato che le norme sulla proprietà industriale impediscono l’utilizzo di marchi già registrati e dunque protetti dall’esclusività. Volendo contestualizzare meglio il discorso in punto di diritto, possiamo dire che la registrazione del marchio, sebbene non obbligatoria per legge, è certamente consigliata per potere vantare le proprie posizioni giuridiche e rivendicare tutti i diritti ad esso sottesi, tra cui l’appena richiamata esclusività. Questo perché il logo e la denominazione costituiscono due capisaldi centrali posizionamento commerciale di una determinata azienda, in quanto permettono di associar meglio i propri prodotti o servizi e distinguerli da quelli degli altri, evitando quindi confusione.
La registrazione del marchio
La registrazione è insomma un passaggio determinante, in quanto taglia fuori dall’utilizzo (e dall’associazione a prodotti o servizi) eventuali aziende terze non collegate in qualche modo al soggetto titolare esclusivo del marchio. La materia è regolata in Italia dalla cosiddetta “Legge Marchi” (Regio Decreto No.929 del 21 giugno 1942 e successive modifiche) e da alcune norme del codice civile, tra cui l’articolo 2569, secondo cui il soggetto che registra il marchio “ha il diritto di valersene in modo esclusivo” e tale esclusività si applica “per tutti i prodotti o servizi per cui è registrato“. Uno dei rimedi previsti dalla nostra legge è l’azione di contraffazione: attraverso un procedimento d’urgenza disciplinato dall’art. 700 del codice di procedura civile, è possibile chiedere l’immediata cessazione di ogni attività di utilizzo del marchio illecito, oltre che un eventuale risarcimento. Nel caso di Facebook, la normativa statunitense legittima l’attivazione di un reclamo presso l’U.S. International Trade Commission (USITC), oppure un processo civile davanti a un Tribunale federale locale o il Tribunale dello Stato in cui è stato registrato il marchio.
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Lo stratagemma al vaglio dei legali di Meta
Come riportato dall’autorevole The Guardian, che ha intervistato un professore presso la School of Law dell’Università della California, i legali di Mark Zuckerberg potrebbero sfruttare un particolare cavillo per continuare a utilizzare il nome Meta, malgrado la precedente registrazione del marchio da parte della società Meta PC. Secondo il docente, negli Stati Uniti i diritti su un marchio non derivano dalla sua registrazione, ma dal suo uso, sussistendo nel caso di specie il principio ineludibile del cosiddetto “first to use“. Di conseguenza, a detta della fonte, è attraverso l’applicazione di tale corollario (secondo il quale un soggetto che utilizza un marchio acquista i diritti ad esso relativi a prescindere dalla registrazione) che Facebook potrebbe bypassare le pretese economiche avanzate dalla società Meta PC, semplicemente presentando domanda di registrazione in un Paese più piccolo, dove non esiste un sistema di database consultabili. Ma questo non esclude ovviamente la possibile attivazione di azioni legali da parte dell’azienda dell’Arizona impegnata nella vendita di prodotti (hardware e software) informatici.
Volendo contestualizzare il discorso tenendo invece conto del nostro ordinamento, bisogna dire che in Italia non trova applicazione il principio first to use, per l’appunto di matrice americana. La via maestra della registrazione (per quanto non obbligatoria, come ribadito sopra) permette infatti al soggetto licenziatario del marchio di esercitare il diritto all’utilizzo esclusivo.
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Il successo sui social di Meta PC
Bisognerà capire quindi come si muoverà legalmente la società Meta PC, tenuto conto del fatto che non sarà semplice dar battaglia a un colosso delle dimensioni di Facebook, con un pool di avvocati certamente di spessore. Se non altro, lo scivolone giuridico della neonata compagine di Mark Zuckerberg (o per meglio dire del nuovo corso) ha fruttato conseguenze enormemente positive per l’azienda di informatica dell’Arizona, i cui seguaci social sono cresciuti in breve tempo del 5000%.