Parler cancellato anche dai serve di Amazon, dopo essere stato rimosso dagli store di Google e Apple. Il ceo e fondatore non molla: “Ma nessuno vuole più lavorare con noi”.
Parler, il social network più popolare tra i sostenitori di Donald Trump e della destra americana più radicale, è scomparso. Almeno per il momento. Dopo la decisione di Google e Apple di rimuovere la piattaforma di microblogging dagli scaffali dei rispettivi online store, è stato Amazon a negare i propri server alla società di John Matze, rea di non moderare i post di più chiara istigazione alla violenza.
Amazon Web Services ospitava il sito sul proprio cloud e aveva dato l’ultimatum alla responsabile delle politiche interne della app Amy Peikoff: nel caso non fossero stati rimossi i 98 post considerati di istigazione alla violenza, Parler avrebbe dovuto lasciare il cloud di AWS. Minaccia che è puntualmente divenuta realtà alle 23:59 di domenica 10 gennaio, ora del Pacifico.
Parler, che si dice a favore della libera opinione, è dunque temporaneamente fuori dai giochi, a testimonianza di una tensione politica in continua escalation da quando Trump ha denunciato i mai riscontrati brogli elettorali che avrebbero portato alla sua sconfitta nelle ultime presidenziali Usa. La collera dell’ex presidente è aumentata mentre le sue accuse cadevano nel vuoto, mentre sempre più esponenti dell’America conservatrice gli toglievano il proprio sostegno, a questo punto assicurato quasi solo dalle frange più estreme.
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Il culmine, neanche a dirlo, sono stati i fatti del 6 gennaio, quando Capitol Hill è stata assaltata da gruppi capitanati da personaggi ben noti della destra americana radicale. Parler era diventato il veicolo dell’indignazione dei sovranisti più intolleranti, dei complottisti e dei negazionisti del Covid, e non è riuscita, se non ad arginare, almeno a moderare i post dei facinorosi, che si sono dati appuntamento per una marcia armata nelle strade di Washington il prossimo 19 gennaio.
Di fronte ai report di Google prima e Amazon poi, la Peikoff ha risposto avviando l’allestimento di una squadra di moderatori volontari, una soluzione che i big tech non hanno certo trovato granché rassicurante. Ora al ceo e fondatore John Matze e ai suoi fedelissimi il compito di trovare dei nuovi server su cui ripartire.
Un’impresa tutt’altro che facile, a quanto fa sapere lo stesso manager, che definisce l’ostracismo subito da Parler un “attacco delle aziende di Big Tech che non tollerano competizione”. Di più, ora Matze non è più ottimista come qualche giorno fa, quando assicurava ai suoi iscritti che la piattaforma sarebbe ripartita da zero nel giro di una settimana: “Vorremmo tornare online al più presto ma nessun fornitore vuole lavorare con noi”, ha detto Matze in un’intervista a Fox News domenica mattina.
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Paradossale, visto che mai Parler aveva raggiunto tanta notorietà prima d’ora. Ma tant’è: “Ci hanno abbandonato tutti nello stesso giorno – ha detto sconsolato Matze -. Dai servizi di messaggistica a quelli di posta elettronica. Addirittura i nostri avvocati ci hanno voltato le spalle“. Una situazione penosa, insomma, che rischia di appesantire ulteriormente il clima, creando contrapposizioni e martiri di cui non si sente davvero nessun bisogno.
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