Dopo la discussa svolta sulla privacy, ora è WhatsApp a contrattaccare con una campagna che punta il dito contro l’invadenza della sfera privata da parte delle istituzioni.
WhatsApp in contropiede. Dopo le infinite polemiche che hanno bersagliato la nuova politica sulla privacy entrata in vigore lo scorso 15 maggio, la controllata di Facebook si scrolla di dosso le accuse e lancia una campagna pubblicitaria per criticare governi e istituzioni di tutto il mondo, rei a suo dire di spingere verso il monitoraggio dei contenuti postati dagli iscritti.
Annunciata a gennaio, la svolta di WhatsApp ha contrariato tantissimi aficionados, pronti a migrare verso servizi concorrenti, in particolare Telegram e Signal, convinti che la loro riservatezza fosse a rischio. Una tesi sostenuta anche da diverse istituzioni statali che hanno chiesto a WhatsApp maggiori spiegazioni e garanzie sulla riforma.
Ma ora sarebbero proprio molti governi a chiedere un indebolimento della riservatezza degli iscritti, garantita dalla tecnologia end-to-end impostata di default sulla chat più diffusa al mondo. E da oggi una serie di spot pubblicitari intende mettere in guardia gli utenti proprio su questo pericolo. La campagna prenderà le mosse da UK e Germania, ma dovrebbe presto essere visibile a livello internazionale.
La crittografia end-to-end finita nel mirino di diversi rappresentanti dei governi garantisce che i messaggi siano accessibili solo da mittente e destinatario. Né WhatsApp, né Facebook hanno la possibilità materiale di leggerli. Lo stesso vale per inquirenti e magistratura durante le indagini: per questo motivo il Segretario di Stato del Regno Unito, Priti Patel, si è espressa contro la end-to-end encryption.
Stando al punto di vista di WhatsApp, questo approccio ricorda troppo da vicino quello del regime cinese, che ha bloccato l’applicazione perché permette agli iscritti di comunicare liberamente. Lo stesso vale per l’India – il maggiore bacino d’utenza per WA con circa 400 milioni di account, e il suo nuovo pacchetto di norme sul digitale che metterebbe a rischio la protezione delle conversazioni tra gli utenti.
Il numero uno di WhatsApp, Will Cathcart, ha preso posizione contro questo atteggiamento: “I governi non dovrebbero incoraggiare le aziende tecnologiche ad abbassare le barriere di sicurezza, che rappresentano il primo livello di protezione dei cittadini – ha detto interpellato dalla britannica BBC -. Piuttosto dovrebbero incoraggiare o addirittura pretendere il contrario. C’è la concreta possibilità che più governi decidano di bloccare certe app”. Inclusa WhatsApp.
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La preoccupazione delle istituzioni riguarda l’impossibilità di tracciare attività illegali per colpa della crittografia end-to-end. WhatsApp replica dal canto suo snocciolando i numeri del 2020, anno in cui ha denunciato 300 mila immagini scambiate dagli iscritti al Centro Nazionale per lo Sfruttamento di Bambini Scomparsi (NCMEC, National Centre for Missing Exploited Children), una no profit statunitense.
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Cathcart ha spiegato che per farlo, WhatsApp fa leva su tutti i dati non protetti da crittografia, oltre che sui report degli stessi utenti. Sotto la lente d’ingrandimento dei responsabili della sicurezza della chat, altre statistiche come il volume di messaggi, quante volte un contenuto viene inoltrato, con quanti iscritti è possibile condividere lo stesso contenuto e a quanti gruppi si è affiliati.
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