Il rapporto tra i videogiochi e l’Italia è stato spesso controverso, diverse sono state le occasioni in cui questi prodotti hanno suscitato scandalo.
I videogiochi possono essere un prodotto diseducativo per i giovani? La violenza virtuale, spesso alla base delle esperienze videoludiche, può spingere dei soggetti in età di formazione a utilizzare la violenza anche nella vita reale? Tali interrogativi sono stati spesso al centro del dibattito in Italia, dove a suggerire la cattiva influenza del medium videoludico sono state le stesse istituzioni.
Il caso originale, la prima pietra dello scandalo, è stato Carmageddon, videogame nel quale lo scopo era mettere sotto con l’auto i pedoni e nel quale venivano dati più punti se ad essere investiti erano anziani, bambini o persone con disabilità. Insomma, si capisce il perché abbia suscitato scandalo e perché la vendita del prodotto originale sia stata vietata. In seguito alla censura ne uscì una versione in cui s’investivano zombie dal sangue verde, in modo da far capire in maniera evidente che non si trattava di persone reali.
Un secondo caso di pubblica disapprovazione si è verificato qualche anno più tardi all’uscita di Resident Evil 2, videogame iconico in cui i protagonisti devono sopravvivere ad un invasione di zombie. Il gioco venne considerato pericoloso per i minori di 14 anni, poiché poteva causare devianze. Anche in questo caso il ritiro dal mercato fu temporaneo, ma a differenza di Carmageddon, RE2 uscì nuovamente nella sua versione originale.
Tutti i casi in cui i videogame hanno generato scandalo in Italia
Se pensate che la lotta ai videogame sia stata una questione esclusiva degli anni ’90, periodo in cui si conosceva poco il medium e si doveva cercare di mettere delle barriere per evitare che prodotti destinati ai maggiorenni finissero nelle mani dei minori, vi sbagliate. Tentativi di boicottare la vendita di videogame in Italia ci sono stati fino al 2008.
Il governo italiano ha contestato la pubblicazione di Mafia: The City of Lost Heaven nel 2000, ritardandone la distribuzione, quella di Bully nel 2006, Manhunt 2 nel 2007 e GTA IV nel 2008. Le polemiche per il trittico di videogame prodotti da Rockstar portarono ad una modifica del titolo solo nel caso di Manhunt 2, la cui versione italiana è uscita con i contenuti più controversi modificati.
Negli anni successivi l’esistenza di una classificazione specifica e precisa del target di vendita ha evitato che vi fossero azioni legali o governative per impedire la distribuzione di determinati titoli, ma ancora oggi quando esce un videogame più violento di altri o quando si verificano atti di violenza da parte di giovanissimi, la questione influenza negativa dei videogame viene tirata fuori sia dalla stampa generalista che da alcuni esponenti del governo.
Un dibattito che non riguarda solo l’Italia e che spesso e volentieri è stato portato avanti negli Stati Uniti, Paese in cui ci sono state diverse stragi di massa nelle scuole. Non vi è dubbio che vi siano alcuni videogame non adatti ai giovanissimi e non vi è dubbio che vi siano alcuni titoli che sono molto violenti, difficile però asserire una correlazione tra questi dati di fatto e gli episodi di violenza nella vita reale.
Vietare i videogiochi violenti ai minorenni è già una misura sufficientemente valida, per altro la stessa che viene applicata per contenuti sensibili di altra forma come film e serie tv. Attribuire al singolo prodotto la colpa di un comportamento violento nella vita reale, senza analizzare il contesto di vita e le problematiche personali dei soggetti coinvolti è solo un modo per trovare un capro espiatorio, una motivazione semplice contro la quale scagliarsi per accettare qualcosa che non vorremmo mai che accadesse.