Smartphone dotati di rilevatori per Covid e altri virus disponibili nel giro di due anni: è l’ambizioso progetto di General Electric, supportato dal Dipartimento della Salute Pubblica degli Stati Uniti.
Più smart del Covid-19. La tecnologia è stata sin dall’inizio protagonista nella lotta al coronavirus che sta paralizzando il mondo da oltre un anno a questa parte. E promette di esserlo ancora di più nel futuro prossimo, se guardiamo al progetto in fase di sviluppo da parte di General Electric e supportato dal Dipartimento della Salute Pubblica americano: uno smartphone in grado di rilevare nell’ambiente la presenza del Sars-Cov-2 – il virus responsabile del Covid.
La prestigiosa multinazionale di New York ha infatti ricevuto dal National Institutes of Health (agenzia che dipende direttamente dal Dipartimento della Salute) un assegno biennale nell’ambito del progetto RADx-rad, laddove l’acronimo rad sta per Rapid Acceleration of Diagnostics, accelerazione rapida dei sistemi di diagnosi. Grazie all’assegno del NIH, GE intende sviluppare mini sensori in grado di riconoscere nanoparticelle del virus sulle diverse superfici con cui entriamo in contatto.
Non solo Smartphone: covid individuabile con più di un dispositivo
Si tratta di una tecnologia su cui General Electric Research lavora da un decennio. È basata su recettori impostati attraverso procedimenti di ingegneria biomedica e integrati su nano-sensori elettronici. Attualmente, hanno visto la luce dei rilevatori “più piccoli di un polpastrello”, in grado di offrire prestazioni degne degli strumenti diagnostici disponibili nei più moderni laboratori di analisi. E il bello è che tali sensori sono largamente adattabili. Al di là dell’integrazione con i nostri smartphone, si può pensare di perfezionare anche smartwatch, scanner e sistemi di sorveglianza ambientale e via dicendo.
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Pensate a quanto sarebbe utile portare con sé uno smartphone o un altro dispositivo tascabile capace di segnalarci che stiamo per toccare una superficie infetta, come la tastiera di un computer, il touch-screen di un punto di ritrovo pubblico come un ufficio o una stazione, il tavolo di un ristorante, o la sedia di una sala d’aspetto ospedaliera o aeroportuale. Sapere di essere a stretto contatto con un virus ci permetterebbe di prendere provvedimenti di buona igiene prima e dopo.
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“I sensori possono essere applicati a smartphone ma anche a dispositivi di dimensioni più ridotte”, ha detto Radislav Potyrailo, uno degli scienziati di punta della divisione ricerca scientifica di General Electric. La sfida, ha spiegato Potyrailo, è usare i fondi del NIH per mettere a punto la selettività dei microsensori, sia in termini di ampiezza che di precisione della ricerca. Essi, cioè, dovranno identificare una determinata nanoparticella – e non solo il Sars-Cov-2 – nonostante le interferenze ambientali, ovvero tutti i fattori “di disturbo” che potrebbero confondere i sensori, come la miriade di altri germi che popolano l’ambiente o le superfici ispezionate.