Pavel Durov risponde alle critiche rivolte da nazionalisti russi su presunte violazioni della privacy da parte della funzionalità voice-to-text di Telegram Premium
Telegram Premium ha sicuramente catalizzato l’attenzione generale della rete e come spesso accade in questi casi, il troppo rumore ha portato alla ribalta alcuni aspetti che stanno facendo discutere. Il servizio di abbonamento dell’app di messaggistica istantanea – in questo articolo vi abbiamo spiegato come acquistare Telegram Premium a 3.99 euro al mese – è stato infatti accusato in Russia di violare la privacy e a finire al centro della scena è la funzionalità voice-to-text, che permette appunto di trasformare un vocale in un testo audio.
Secondo alcuni, questa funzione, decisamente molto comoda in quei contesti in cui ci si trova nell’impossibilità di ascoltare i messaggi vocali, opererebbe in violazione della privacy dei dati, in quanto tali messaggi verrebbero inviati a Google per l’elaborazione e la conversione in testo scritto. A sollevare il polverone è stato l’utente russo snaker4, che ha notato l’inserimento di una clausola all’interno del servizio Telegram Premium rimandante appunto alla funzione voice-to-text (per l’appunto proposta come esclusiva del programma di abbonamento), la quale citerebbe esplicitamente il riferimento a Google, consociata di Alphabet.
Pavel Durov: “Google non ascolta i messaggi vocali trasformati in testo da voice-to-text”
Questa notizia ha fatto storcere il naso agli utenti, considerata anche la natura “de-Googlizzata” di Telegram, proprio per questo apprezzata da moltissimi geek e non solo. Le accuse non hanno lasciato insensibile il fondatore di Telegram, Pavel Durov, che si è espresso con fermezza contro chi adombra sospetti di violazioni di privacy.
Durov ha voluto precisare che Telegram non condivide in alcun modo con Google i dati personali degli utenti, come ad esempio nomi, indirizzi IP e numeri di telefono. Secondo il fondatore della piattaforma, nessun dato viene inviato a terzi senza esplicito consenso da parte del titolare a cui l’informazione si riferisce. Durov continua spiegando che il flusso di dati audio inviati a Google per l’elaborazione resta anonimo e l’azienda non può utilizzare tali informazioni per nessuno dei suoi altri servizi, come pure per finalità pubblicitarie.
Questione archiviata, insomma, nonostante il polverone mediatico montato dai nazionalisti russi.