Twitter può essere usato per testare le aspettative sull’inflazione e di conseguenza le politiche economiche: lo rivela uno studio della Banca d’Italia.
Usare Twitter per fare il punto sull’economia. O meglio, su come la politica monetaria sostiene l’economia. L’impresa non solo è possibile, ma è estremamente utile. A dirlo è uno studio di un team di ricercatori della Banca d’Italia, intitolato “Possiamo usare Twitter per misurare le aspettative sull’inflazione?” (“Can we measure inflation expectations using Twitter?”), che ha preso in esame più di 11 milioni di tweet dal giugno del 2013 al dicembre del 2019 per tracciare l’andamento dell’inflazione attesa e compararlo con quello dell’inflazione alla prova dei fatti. Risultato, una chiara coerenza tra le due curve.
Le aspettative sull’inflazione giocano un ruolo chiave, perché a condizioni normali producono un andamento dei prezzi abbastanza fedele. Vale a dire: nel caso in cui le imprese si aspettano un incremento dei prezzi, saranno in teoria propense ad investire di più e ad assumere per impiegare i maggiori profitti. Viceversa, se si pensa che un periodo di inflazione piatta o addirittura di deflazione inciderà negativamente sui profitti, gli imprenditori freneranno gli investimenti e molto probabilmente finiranno per licenziare, e di conseguenza i consumatori avranno meno potere d’acquisto, in un circolo vizioso che finrà per deprimere l’economia. Si tratta di una relazione empirica e niente affatto scontata, ma i dati dimostrano che questo pattern è abbastanza solido se non ci sono shock macroeconomici a destabilizzare il mercato (crisi, nuove leggi, avanzamenti tecnologici e quant’altro).
Perché usare Twitter per misurare le aspettative sull’inflazione
Twitter è stato scelto partendo dal presupposto che è il social per eccellenza dove le persone tendono a presentare la propria opinione su topic di tendenza come politica, economia, tecnologia, cultura e altri sistemi di valori. Si tratta insomma di un social meno frivolo, se vogliamo, dove professionisti di ogni settore, comunicatori e critici postano continui aggiornamenti sul proprio lavoro e sulle conclusioni che ne traggono, finendo per fare proseliti. “Ci siamo basati – raccontano gli autori della ricerca – sul fatto intuitivo che più le persone parlano di qualcosa, più questa cosa riflette una loro opinione e più sono in grado di influenzare gli altri“.
Come analizzare i tweet per dedurre le aspettative sull’inflazione
Per trasformare la piattaforma di microblogging in un indicatore delle aspettative sull’andamento dei prezzi, i ricercatori della Banca d’Italia si sono avvalsi dell’ausilio di un algoritmo di machine learning, il Latent Dirichlet Allocation (LDA). Inizialmente hanno stabilito un insieme di parole chiave che potessero essere riconducibili ai prezzi di beni e servizi. Nel periodo preso in esame (dal 1 luglio 2013 al 31 dicembre 2019), tali keyword sono comparse in 11.1 milioni di tweet. Ovviamente non tutti riguardavano genuinamente l’inflazione: l’LDA è entrato in gioco per scremare i post significativi da quelli che invece erano irrilevanti per la ricerca.
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Una volta filtrati, i contenuti sono stati divisi fra quelli contenenti parole chiave che indicassero una previsione di rialzo dei prezzi di beni e servizi (inflazione) oppure di una loro stabilizzazione o diminuzione (inflazione strisciante o deflazione). Ad esempio, “più caro”, “caro prezzo”, “prezzo altissimo” sono le prime tre keyword che preludono a un aumento dell’inflazione – vale a dire una crescita dei prezzi più veloce; mentre “prezzo più basso”, “basso prezzo” e “prezzi scontati” sono sul podio delle keyword che si attendono una diminuzione dei prezzi o almeno un abbassamento o una sostanziale stabilità dell’inflazione. Infine, le indicazioni sulle aspettative sono stati ricavati dai due gruppi di parole chiave e su quanto fossero ricorrenti.
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Il paper puntualizza che questo metodo di ricerca e analisi va affinato, ma che in generale Twitter deve essere considerato come un validissimo sostegno ai metodi tradizionali. Oggi, una banca centrale testa il polso delle aspettative di imprese e consumatori con sondaggi – precisi ma per forza di cose limitati – e leggendo l’andamento dei titoli il cui rendimento varia nel tempo, proprio a seconda dei rischi di investimento legati all’inflazione (in soldoni: se un titolo a lunga scadenza rende di più è perché ci si attende che l’inflazione sia in crescita durante il periodo in questione). L’utilizzo di Twitter può rappresentare una svolta per Fed e BCE, ossia le istituzioni monetarie più importanti al mondo, ma anche per le banche centrali nazionali. Non può che essere motivo d’orgoglio che questo progresso sia stato innescato da ricercatori italiani.