Attraverso un minuzioso comunicato stampa, Xiaomi ha respinto ogni accusa di censura e di violazione del GDPR paventate dall’agenzia del Ministero della difesa della Lituania.
Non è tardata ad arrivare la risposta ufficiale di Xiaomi dopo le gravi parole pronunciate dall’agenzia del Ministero della difesa della Lituania nel rapporto intitolato “Cybersecurity assessment of 5G-enabled mobile devices”.
La compagine guidata dall’addì Lei Jun ha infatti voluto prendere posizione rispetto alle accuse rimbalzate in rete nei giorni scorsi precisando, attraverso un dettagliato comunicato stampa, alcuni passaggi chiave atti a dimostrare l’assoluta trasparenza nel proprio operato. In particolare, due sono i punti rimarcati con forza dal sodalizio cinese: l’inesistenza di software finalizzati a censurare la libertà di espressione dell’utente e il rigoroso rispetto delle norme europee relative alla protezione dei dati personali.
Come abbiamo riportato più nel dettaglio nell’articolo esplicativo della vicenda, l’agenzia per la cybersecurity della Lituania si era scagliata con forza contro alcuni smartphone realizzati da produttori cinesi, etichettati senza mezzi termini come un rischio per la sicurezza dell’utente, nonché un impedimento alla libertà di parola.
Con riguardo a Xiaomi, è stata messa in dubbio la legittimità di alcune app pre-caricate dal sodalizio, tra cui il Mi Browser (il programma installato di default sugli smartphone Xiaomi per navigare a Internet, ndr) e Mi Video, aventi lo scopo di intercettare e censurare contenuti che toccherebbero trasversalmente alcuni contenuti etichettati come indesiderati, come «Tibet libero», «Movimento democratico», «Lunga vita a Taiwan indipendente» e altre 449 formule politicamente di rilievo per il governo cinese. A ciò si assomma l’ulteriore accusa di aver violato il Regolamento generale sulla protezione dei dati vigente in Europa, dal momento che lo smartphone Xiaomi Mi 10T invierebbe alcuni dati crittografati a beneficio di server ospitati in paesi terzi.
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Prima del comunicato stampa diramato in queste ore da Xiaomi, si sono registrate posizioni concilianti con il legittimo operato dello stesso sodalizio cinese: attraverso un dettagliato rapporto, i ricercatori di XDA hanno spiegato che il file incriminato – il cosiddetto MiAdBlocklist che, a giudizio dell’ente, ingloberebbe la blacklist di parole messe al bando e di cui farebbero uso Mi Browser, Mi Video e altre app – è da intendersi come semplice strumento per il blocco delle pubblicità aggressive, senza perciò incidere in negativo sulla sfera personale dell’utente.
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Nelle righe del comunicato stampa, Xiaomi ha fermamente rigettato ogni accusa e annunciato, con l’evidente fine di salvaguardare la trasparenza di aziende partner e consumatori finali, l’intenzione di affidare un mandato a una società indipendente per le opportune verifiche rispetto agli addebiti sollevati dall’agenzia del Ministero della difesa della Lituania.
Il produttore cinese ha tenuto a precisare che non ha mai limitato o filtrato le ricerche, né tantomeno le chiamate, la navigazione web e altri dati affini. Adeguandosi alla ricostruzione offerta dai ricercatori di XDA, Xiaomi ha spiegato che il software incriminato (il MiAdBlocklist, per l’appunto) ha solamente lo scopo di proteggere gli utenti da determinati contenuti potenzialmente lesivi, come quelli rimandanti a tematiche di pornografia, violenza, incitamento all’odio e simili.
Xiaomi conferma inoltre il proprio impegno nel rispettare i requisiti del GDPR: di conseguenza, ciascun servizio, app e sistema è stato progettato dall’azienda per adeguarsi agli standard europei in materia di protezione dei dati personali. Qualsiasi utilizzo dei dati personali è perciò subordinato al preventivo consenso dell’utente ed è quindi assoggettato alle leggi e ai regolamenti locali o regionali dell’Unione europea e dei suoi stati membri.
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